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martedì 22 agosto 2017

Chip, l'app pensata per i millennials: aiuta a risparmiare


Creata da due trentenni, è disponibile sia per sistemi operativi iOS che Android. Anche se per ora solo nel Regno Unito
ROMA - Entra nel tuo conto in banca, valuta gli investimenti, controlla le spese e poi esprime il suo giudizio, draconiano: questo sì, questo no. Si chiama Chiped è un'applicazione dedicata soprattutto ai millennials, ma non solo, che ha l'obiettivo di farti risparmiare. O meglio di "aiutarti a spendere i soldi in maniera migliore", spiega in un'intervista rilasciata al Guardian Simon Rabin che ha cofondato la compagnia insieme a Nick Ustinov
 
I due, più o meno trent'anni a testa, sanno quanto sia difficile per i giovani concentrare gli investimenti sulle cose che ritengono importanti: un deposito per la futura casa, le vacanze, un nuovo guardaroba e così via. Senza lasciarsi istigare da una serie di micro consumi allettanti, quanto inutili: un abbonamento a Netflix che sfrutteranno difficilmente, un altro per la piscina dove andranno appena qualche volta al mese, o il cono gelato quotidiano. Per questo hanno lanciato l'app, che è disponibile sia per sistemi operativi iOS che Android. Anche se per ora solo nel Regno Unito.
 
Funziona così: Chip monitora le finanze e quando vede che sono abbastanza polpose, senza nemmeno farsi notare, sottrae un po' di risparmi e li custodisce in un fondo separato. Lontano da ogni tentazione. Non solo. Ti allerta in caso di scoperto, cioè quella situazione in cui l'importo degli addebiti in conto corrente eccede quello degli accrediti. Ti mette in guardia sui guadagni mensili e su ciò che ti sta facendo sperperare. Dopo di che aziona l'algoritmo risparmiatore con lo scopo di mettere da parte la stessa cifra che corrisponde al debito. La compagnia sta anche per lanciare una nuova forma di credito, "Smart Credit", per chi proprio non riesce a non andare in rosso. Metterà sul conto 100 sterline, prima che questo scenda sotto lo zero, offrendo tassi di interessi migliori di quelli bancari. 
 
Il giornalista Alex Hern del Guardian, che alla startup ha dedicato un lungo servizio, annota però che Chip non è efficace per tutti. Primo: le tue spese devono essere abbastanza flessibili. Se una stretta al portafogli equivale a birra in meno al pub, è ok. Se, invece, significa non mangiare, il sistema non è proprio il massimo. Inoltre, se sei talmente indisciplinato da sottrarre i soldi dal fondo messo in piedi dall'app, c'è poco da fare. E per gli altri? C'è l'imbarazzo della scelta, dato che sono centinaia le applicazioni
dedicate al settore finanziario. E affollano sia Play, il negozio multimediale offerto da Big G, sia Apple store. Un vero mare magnum. Tutto da spulciare.

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venerdì 4 agosto 2017

Helmfon, il supercasco da ufficio: isola dai colleghi molesti e fa risparmiare spazio


Il progetto di uno studio ucraino: Bluetooth e videocamera, l’enorme elmetto da open space serve a ridurre al minimo le distrazioni e concentrarsi durante lavoro, film, videoconferenze

UN GIGANTESCO casco da ufficio. Lo ha ideato lo studio ucraino di design Hochu Rayu per isolarsi completamente nel proprio ambiente di lavoro. Ma non per dormire o riposare. Al contrario, per concentrarsi meglio, specialmente nei famigerati ambienti "open space" ricchi di caos, rumori di fondo, fissazioni dei colleghi, musica, chiacchiere. Il cascone che vi trasformerà in Megamind isola infatti dai rumori, ha un microfono e un sistema per effettuare telefonate in tutta riservatezza. 

Si chiama Helmfon ed è un prodotto su misura per gli stakanovisti di professione, i maniaci da ufficio, i masochisti da scrivania. Si tratta di una cupola realizzata in fibra di vetro e una membrana interna in schiuma di polietilene che si appoggia sulle spalle. L'idea è nata quando allo studio è stato chiesto di immaginare un nuovo tipo di cabina telefonica da parte di un'azienda di telecomunicazioni. 

L'intuizione, se così si può dire, è stata quella di trasferirla in testa all'utente. Chissà se avrà successo oltre la provocazione creativa, magari in posti come i call center per risparmiare spazio negli uffici. Helmfon è dotato di connettività Bluetooth, come già detto sfoggia un microfono e anche una videocamera per consentire al (malcapitato, addio postura) utilizzatore di sostenere in massima tranquillità videoconferenze senza disturbare gli altri e senza essere scocciato dalle loro chiacchiere. Distrazioni zero. C'è anche uno slot per ospitare lo smartphone. Ovviamente il cascone può essere personalizzato in una serie di colori, in base alle preferenze dell'acquirente, o di temi, come Minions, indiani, Batman e così via. L'idea è di svilupparlo in futuro per farne un ambiente ideale per la realtà virtuale o qualcosa di simile.

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martedì 18 luglio 2017

Ritoccare le foto delle vacanze per farne delle opere d'arte


Presentato un nuovo filtro che, grazie all’intelligenza artificiale, promette di modificare le nostre immagini digitali con la mano di Frida Kahlo e Leonardo da Vinci. E con risultati sorprendenti

NEW YORK - Le prossime foto delle vacanze potranno diventare opere d'arte e chissà, magari un giorno si venderanno all'asta. Un team internazionale di ricerca guidato dalla Cornell University e dal colosso della grafica digitale Adobe ha presentato in questi giorni un prototipo di intelligenza artificiale che può modificare le immagini digitali ispirandosi alla mano di Frida Kahlo o alla genialità di Leonardo. È il primo algoritmo di style transfer che riproduce, su una controparte informatica, i circuiti del cervello responsabili della visione e dell'imitazione. "Craccare la creatività umana non penso sia possibile, più facile fare delle belle copie", spiega a Repubblica Kavita Bala, pluripremiata docente di Computer Science all'università di Cornell e coordinatrice della ricerca.

Nei quadri di un artista ci possono essere ricorrenze di proporzioni, linee, forme degli occhi, colori, pennellate che posso essere considerate, almeno a livello statistico, il suo marchio di fabbrica. Grazie a questi calcoli il prototipo di software può riconoscere il pennello del maestro, replicarlo e usare il suo stile per ritoccare una nuova immagine. 

"Non siamo più così sicuri come una volta che i sistemi di intelligenza artificiale possano dipingere dei capolavori in forma autonoma", prosegue la scienziata americana. "Ma nei prossimi anni questi programmi avranno acquisito un livello di competenze tali da copiare opere d'arte con uno stile così raffinato che anche un occhio esperto difficilmente potrà distinguerlo da un'opera originale. L'importante è non farlo in modo fraudolento".

Copiare è un po' imparare e il software messo a punto da Cornell in collaborazione con Adobe è un esempio innovativo di machine learning, una nuova generazione di software che simula i processi di apprendimento del nostro cervello. "Inseriamo nel database del software diverse migliaia di immagini che il programma analizza calcolando misure, colori e molto altro. - aggiunge Kavita Bala - Quando il sistema ha acquisito un numero sufficiente di esempi è in grado di catturare le caratteristiche comuni di tutte quelle immagini, quella che definiamo l'impronta visiva".

Il trucco che consente al programma di accumulare e capitalizzare tutta questa conoscenza sullo stile di un artista si chiama deep Learning, una tecnica di intelligenza artificiale esplosa negli ultimi cinque anni che simula le capacità del cervello di imparare dall'esperienza visiva. "Ma è solo un'approsimazione di quello che accade a livello biologico", precisa la docente di Cornell.

Il sistema progettato da Cornell con Adobe si rivolge, in questa prima fase, alle fotografie. "Esistono già in commercio filtri per trasformare le immagini secondo lo stile di un particolare dipinto o di un disegno a mano libera, ma non sono particolarmente realistici", precisa la scienziata di Cornell. "Il software che abbiamo progettato, al contrario, prova a imporre uno stile particolare alle fotografie senza comprometterne il livello di realtà". La foto, in altre parole, rimane sempre riconoscibile anche una volta "filtrata".

Questo tipo di tecnologia è di grande interesse, oltre che per le grandi compagnie informatiche, anche per gli artisti stessi. Gene Kogan, per esempio, un matematico, programmatore e artista americano, ha sperimentato un sistema di style transfer progettato dall'università di Tübingen in Germania che copia e applica lo stile di grande artisti come Klimt, Frida Kahlo, Sol Lewitt su fermo-immagini di cartoni animati e fotografie.

Altre software interessanti sono il DeepDream e il DeepStyle di Google, una serie di filtri fotografici, basati sull'intelligenza artificiale, che ritoccano le immagini con lo stile di grandi artisti o generando atmosfere oniriche. Esiste anche una sorta di Instagram dedicato a questo tipo di foto, talvolta un po' forti, che si chiama Dreamscope: offre 19 filtri basati sul software di Google. Le premesse per questo nuovo genere di opere sono comunque promettenti: a un'asta di beneficienza a San Francisco in California il gigante del web ha venduto le prime 29 fotografie elaborate con DeepStyle secondo la Notte stellata di Van Gogh.

Per sviluppare questo tipo di software gli informatici di Cornell hanno fondato la GrockStyle, una società che quest'anno è stata inserita nella AI 100, la prestigiosa classifica delle cento aziende più innovative nel settore dell'intelligenza artificiale selezionate da CB Insights, una delle più importanti piattaforme mondiali per analisi del mercato tecnologico e dei venture capital.

Fonte: QUI

sabato 8 luglio 2017

Gli elettrodomestici intelligenti

Un venticello assai sottile
Dyson Pure Cool (intorno ai 599 euro; in versione da tavolo e da terra) adotta la tecnologia Air Multiplier per diffondere l’aria in modo omogeneo e include un filtro Hepa che elimina il 99.95% delle particelle microscopiche come PM0.1 e PM2.5. Non raffredda ma rinfresca in maniera naturale. Include un piccolo telecomando, e funziona anche tramite app, collegandosi alla rete wi-fi

Solo per i tuoi occhi
Sony UBP-X800 (intorno a 400 €) legge dischi Blu-Ray, dvd audio e video, compact disc, Super Audio Cd. Ha un’eccellente qualità audio hi-res e trasforma film e video da Full Hd in 4K con colori e definizione ottimi. In più, collegato al wi-fi o alla rete Ethernet, permette di accedere a servizi di video in streaming, come Netflix e altri. 
Un difetto? Non ha il display
Musica in tv
Sonos PlayBase è un diffusore wi-fi da mettere sotto la tv. Offre un’ottima qualità audio senza cavi e apparecchi diversi, è compatibile con Spotify e Apple Music, ma ha anche un ingresso digitale ottico. Impara i codici del telecomando del televisore, così il volume si regola con un solo pulsante, ma c’è un’app per comandarlo con smartphone o tablet. Si può utilizzare con altri diffusori Sonos in un impianto multiroom. In bianco o nero, a 799 euro
Tornerà il freddo
Le termovalvole EvoHome di Honeywell si applicano ai termosifoni e permettono di regolare la temperatura in ogni stanza e definire tempi e modi di accensione tramite l’unità centrale o un’app su smartphone. Collegato al wi-fi, si può comandare anche fuori casa. Il sistema promette un risparmio di circa il 10-15 per cento sui consumi, a seconda dell’impianto
Un occhio intelligente
In tempo di vacanze una videocamera di sicurezza come la Nest Cam IQ può tornare utile. Registra filmati in altissima definizione e manda avvisi specifici, ad esempio, per il gatto o per segnalare la presenza di intrusi. Funziona anche al buio e ha un altoparlante incorporato. 349 euro
Un robot intelligente
Il Neato D5 Connected Botvac è un aspirapolvere robot che si comanda con un’app dallo smartphone. Ma 
anche da solo capisce dove pulire e quando 
tornare alla base per ricaricare la batteria. Veloce ed 
efficiente,ha un design che gli consente di pulire a fondo anche negli angoli. A partire da 649,99€
In forma
La bilancia wi-fi Nokia Cardio indica peso, grasso corporeo, massa muscolare e ossea e percentuale di acqua, ma pure frequenza cardiaca e velocità dell’onda di polso. Costa 180 euro circa

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martedì 27 giugno 2017

Star Wars diventa realtà, primo smartphone a ologrammi


Addio videotelefonate, comunicare a ologrammi come in Star Wars potrebbe diventare realtà, a patto di poter sborsare una cifra che supera i mille dollari.
All'inizio del prossimo anno arriverà sul mercato il primo smartphone con schermo olografico, capace cioè di mostrare ologrammi senza il bisogno di indossare occhiali speciali o visori come per la realtà virtuale.
Il dispositivo è stato annunciato da RED, compagnia specializzata in fotocamere digitali professionali. Si chiama Hydrogen One e sarà equipaggiato con Android. Tra le sue particolarità il display olografico da 5,7 pollici che sfrutta nanotecnologie non meglio specificate per mostrare anche ologrammi tridimensionali con audio stereo. Oltre alle tradizionali immagini bidimensionali mostrerà pure realtà virtuale, aumentata e mista, il tutto senza dover inforcare nessun visore aggiuntivo. Nessun dettaglio sulle future applicazioni. Del dispositivo per ora c'è solo l'immagine mostrata in brochure in cui spicca un obiettivo particolarmente grande.
Il prezzo di lancio, offerto per un periodo limitato di tempo, è di 1195 dollari per la versione di fascia più bassa e di 1595 per quella "premium". I preordini online sono aperti.
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mercoledì 7 giugno 2017

Nyt, in Usa gli hacker puntano impianti nucleari


Negli ultimi due mesi hacker non identificati avrebbero preso di mira gli impianti nucleari statunitensi. Stando a quanto scrive il New York Times citando un rapporto congiunto del Dipartimento della Sicurezza interna e dell'Fbi, dal maggio scorso gli hacker starebbero penetrando nella rete informatica di compagnie che gestiscono centrali nucleari e altre strutture energetiche, nonché stabilimenti produttivi, in Usa e in altre nazioni.
Il rapporto, ottenuto dal quotidiano newyorchese e confermato da esperti di sicurezza che hanno risposto agli attacchi, non indica se i cyberattacchi siano un tentativo di spionaggio, ad esempio per carpire segreti industriali, o se invece facciano parte di un piano distruttivo.
In una nota congiunta con l'Fbi, un portavoce del Dipartimento della Sicurezza interna ha dichiarato: "Non vi è alcuna indicazione di una minaccia per la sicurezza pubblica, in quanto ogni potenziale impatto sembra limitato alle reti amministrative e commerciali".
Sempre in base a quanto riferito dal Nyt, non è noto se gli hacker, attraverso i computer delle loro vittime, siano riusciti a penetrare all'interno dei sistemi di controllo degli impianti, né quanti impianti siano stati violati.
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lunedì 8 maggio 2017

Con YouTube diretta streaming 'mobile'



ROMA - Sulla scia di Facebook, Instagram e Twitter anche YouTube, piattaforma di condivisione video per eccellenza, rafforza il fronte delle dirette in streaming e sbarca sui dispositivi mobili. La piattaforma di proprietà di Google supporta dirette streaming fin dal 2011, ricorda la compagnia sul suo blog, e da poco ha lanciato il supporto gratuito per streaming a 360 gradi con video in altissima risoluzione 4k. Le dirette streaming da dispositivi mobili erano state testate lo scorso anno ma solo ora arrivano ufficialmente per una platea ampia di utilizzatori.

Per il momento YouTube rende disponibile la funzione per i canali con oltre 10 mila iscritti ma promette che "a breve" arriverà anche per tutti gli altri utenti.

La diretta streaming da dispositivi mobili è integrata nell'app YouTube. Per iniziare a trasmettere è sufficiente aprire l'applicazione e cliccare sull'opzione "live!".

Dopo l'esordio di app come Periscope (inglobata da Twitter) e Meerkat (ormai defunta), il successo delle dirette streaming dal cellulare è stato cavalcato in particolare da Facebook che nell'ultimo anno ha lanciato e potenziato i Live video dando il colpo di grazia ai pionieri del settore. Il social ha da poco lanciato i "live" anche su Instagram, app di sua proprietà.

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mercoledì 26 aprile 2017

Francia, Google e Facebook contro 'fake news' in vista elezioni




ROMA - Google e Facebook insieme ai giornalisti di autorevoli testate francesi contro le "fake news" in vista delle prossime elezioni in Francia. I due colossi di internet hanno annunciato iniziative ad hoc per combattere la disinformazione e le notizie bufala che abbondano online, sulla scia di impegni simili già presi negli Stati Uniti e in Germania dopo le polemiche scoppiate durante la campagna elettorale americana.

Le Monde afferma di essere una delle 8 testate che lavorerà insieme al social network Facebook per attività di "fact check", di controllo dei dati e delle informazioni, sui contenuti relativi alle prossime presidenziali francesi. Una collaborazione avviata in via "sperimentale". Allo stesso tempo l'organizzazione no profit First Draft News ha annunciato il lancio di CrossCheck, progetto per la verifica delle notizie che coinvolge in primis il News Lab di Google.

Nei giorni scorsi Le Monde aveva già lanciato uno strumento per difendersi dalle bufale sul web: Decodex, composto da un motore di ricerca garantito, un avvisto sul grado di affidabilità del sito internet che si sta visitando e un "robot" Facebook a cui si potranno porre domande.

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martedì 18 aprile 2017

Cresce l'uso dei software per bloccare la pubblicità



ROMA - Aumentano gli utenti di internet che usano programmi per bloccare la visualizzazione delle pubblicità sui siti web, i cosiddetti "adblock". Secondo un recente rapporto di PageFair nel 2016 l'11% degli utenti nel mondo ha usato questi software, che risultano installati su oltre 600 milioni di dispositivi (tra smartphone, tablet e computer fissi). Si tratta di un aumento del 30% rispetto all'anno prima.
La pubblicità più "fastidiosa" sembra essere quella su smartphone e tablet, visto che il grosso degli "adblock" è installata e in crescita proprio sui dispositivi mobili: i software risultano scaricati su 380 milioni di dispositivi (108 milioni nell'ultimo anno). L'utilizzo degli adblock su pc desktop ha raggiunto 236 milioni di terminali (con i 34 milioni aggiunti nel 2016). La ricerca offre anche uno spaccato Usa: il 74% degli utenti americani di adblock dice di abbandonare i siti che hanno dei sistemi per aggirare i programmi per il blocco delle inserzioni. Il 77% invece si dice disposto a guardare pubblicità in determinati formati.
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mercoledì 5 aprile 2017

Fb testa motore di ricerca per le foto



Facebook sulla scia di Google Foto: il social network che viaggia spedito verso i due miliardi di utenti nel mondo sta testando un motore di ricerca interno anche per le immagini, sfruttando una tecnologia basata su intelligenza artificiale in grado di riconoscere luoghi e oggetti nelle foto. Secondo quanto riferito dalla compagnia al sito The Next Web la novità dovrebbe essere disponibile per tutti gli iscritti negli Stati Uniti, e in futuro una simile ricerca "semantica" potrebbe essere applicata anche sui video.

    La funzione si basa su una tecnologia - chiamata "Lumos" - che Facebook ha utilizzato per migliorare l'accessibilità della sua piattaforma agli utenti con disabilità visiva e che permette di "descrivere" il contenuto delle immagini. Un sistema che può essere impiegato anche per facilitare la ricerca di oggetti e luoghi nelle immagini.

    Sfruttando l'intelligenza artificiale, spiega The Next Web, Facebook ha analizzato miliardi di foto sulla sua piattaforma usando diversi criteri per poterne indicizzare i risultati.

    Grazie alla tecnologia di riconoscimento degli oggetti si potranno cercare animali, luoghi, scene, attrazioni, abbigliamento, indipendentemente da un loro esplicito richiamo in una didascalia. Una funzione del tutto simile a quanto già implementato da Google nel servizio Foto, dove è possibile archiviare i propri scatti e avviare una ricerca interna.

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martedì 28 marzo 2017

Wikipedia contro bufale, non citerà più il Daily Mail



ROMA - Wikipedia in campo contro le 'fake news': i collaboratori dell'edizione inglese dell'enciclopedia online hanno deciso di eliminare il Daily Mail dalle fonti citate, valutando il tabloid "generalmente inaffidabile" per via di "scarsa verifica dei fatti, sensazionalismo e notizie inventate".

La Wikimedia Foundation, cui fa capo Wikipedia, ha spiegato che gli autori della versione britannica dell'enciclopedia stavano discutendo dell'opportunità di bandire il Daily Mail dagli inizi del 2015. "Gli editori volontari di Wikipedia English hanno deciso che il Daily Mail è generalmente inaffidabile, e che il suo uso come riferimento va generalmente vietato, soprattutto quando esistono altre fonti più affidabili", ha detto la fondazione.


La risposta del Daily Mail non si è fatta attendere. "Per la cronaca il Daily Mail nel 2014 ha vietato a tutti i suoi giornalisti di usare Wikipedia come unica fonte a causa della sua inaffidabilità", ha detto un portavoce del quotidiano secondo quanto riportato dal Guardian. "Tutte le persone che credono nella libertà di espressione dovrebbero essere profondamente preoccupate per questo tentativo cinico e politicamente motivato di soffocare la stampa libera".

 
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giovedì 16 marzo 2017

WhatsApp più sicuro, arriva verifica a due fattori



ROMA - WhatsApp aumenta la sua sicurezza e introduce il sistema di verifica a due fattori, un meccanismo già adottato da diverse piattaforme - da Google a Twitter - che richiede un secondo metodo di autenticazione per accedere ai servizi online, ad esempio un codice inviato per sms in aggiunta alla password. Lo riporta il sito The Next Web.

Annunciata lo scorso autunno, la novità comincerà a essere disponibile gradualmente anche per gli utilizzatori della chat di proprietà di Facebook, per gli utenti di iPhone e di dispositivi Android e Windows. Nel mondo sono circa 1,2 miliardi di persone.

Su WhatsApp la doppia autenticazione funzionerà in questo modo: la prima fase consiste nel consueto accesso all'applicazione dal proprio smartphone, la seconda invece è un codice di 6 cifre che gli utenti creeranno non appena abiliteranno la funzione. Questo codice verrà richiesto una volta a settimana per accedere alla chat.

Per abilitare la funzione occorre andare in: "Impostazioni", "Account", "Verifica a due fattori" e selezionare "Abilita".

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martedì 7 marzo 2017

Pinterest lancia lo Shazam delle foto



ROMA - Quello che Shazam fa con la musica - riconoscere la canzone ascoltata, fornire titolo, artista e un collegamento per ascoltarla e acquistarla - Pinterest lo fa con le immagini, attraverso il lancio di Lens. Il nuovo strumento consente di fare ricerche visuali: basta inquadrare un oggetto con la fotocamera del cellulare per accedere a una serie di contenuti collegati, e magari al sito dove fare shopping.

Attualmente in versione beta, quindi non definitiva, per gli utenti mobili di Pinterest negli Usa, Lens si propone per diversi utilizzi. Ad esempio, spiega la società, si può inquadrare un paio di scarpe per vedere stili collegati o trovare idee su come abbinarle e suggerimenti per lo shopping, un tavolo da pranzo per vederne altri online, o un broccolo per leggere le ricette per cucinarlo.

"Per ora Lens lavora al meglio per trovare idee per decorare la casa, cose da indossare e cibo", spiega la compagnia sul suo blog. "Continuando a migliorarlo, e con più persone che lo proveranno, i risultati saranno ancora migliori, e la gamma di oggetti che Lens riconoscerà sarà sempre più ampia".

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sabato 25 febbraio 2017

Facebook, guanti per la realtà virtuale



ROMA, 11 FEB - In futuro la realtà virtuale non passerà solo dagli occhi, ma anche dalle mani, tramite cui disegnare e interagire con gli oggetti che si vedono. A questo sta lavorando Oculus, società di proprietà di Facebook, che dopo aver lanciato un visore per la realtà virtuale sta lavorando su un paio di guanti. Lo ha svelato il fondatore del social network, Mark Zuckerberg, che ha pubblicato gli scatti della sua visita al laboratorio di ricerca di Oculus. Una foto lo ritrae mentre sperimenta i guanti hi-tech.
    "Stiamo lavorando su nuovi modi per portare le mani nella realtà virtuale e aumentata", ha scritto Zuckerberg in un post.
    "Indossando questi guanti si può disegnare, scrivere su una tastiera virtuale e anche sparare ragnatele come Spider Man".
    I guanti, tuttavia, non dovrebbero arrivare sul mercato a breve. "Gli Oculus Rift sono già la migliore esperienza di realtà virtuale che si può acquistare. La tecnologia in fase di sviluppo in questo laboratorio - ha evidenziato Zuckerberg - mi fa desiderare che il futuro arrivi molti prima".

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lunedì 20 febbraio 2017

Spam 'malevolo', è il 10% delle e-mail





ROMA, 11 FEB - Le e-mail spam "sono a livelli che non si vedevano dal 2010", la posta spazzatura rappresenta quasi i due terzi (65%), dei quali i messaggi dannosi sono tra l'8% e il 10%. Sono alcuni dei dati contenuti nell'Annual Cybersecurity Report 2017 di Cisco. Dall'indagine si evince che oltre un terzo delle organizzazioni che hanno subito una violazione hanno riportato sostanziali perdite in termini di clienti, opportunità ed entrate mancate per oltre il 20%. Inoltre, dopo gli attacchi, il 90% di queste aziende ha investito per migliorare tecnologie e processi di difesa contro le minacce, separando le funzioni IT e di sicurezza (il 38%), intensificando la formazione dei dipendenti sulle tematiche di sicurezza (il 38%), e adottando tecniche di mitigazione del rischio (il 37%). Oltre alla posta spam, a infettare gli utenti c'è sempre di più l'adware, che scarica pubblicità senza permesso: ha intaccato il 75% delle aziende prese in esame.

    "Una delle metriche che reputiamo essenziali è il 'tempo di rilevamento'e il 'tempo di evolvere' delle attività dannose", spiega David Ulevitch, Vice Presidente-General Manager, Business Security, Cisco.

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domenica 12 febbraio 2017

Alison Griswold


Scott Shatford non avrebbe mai immaginato di dover fare i conti con un processo penale. Ha ricevuto l’avviso a maggio, più di un anno dopo che la città in cui viveva, Santa Monica, in California, aveva deciso di vietare gli affitti a breve termine che stavano invadendo la località balneare. Shatford conosceva l’ordinanza del sindaco, ma aveva deciso d’ignorarla e aveva continuato ad affittare per brevi periodi due appartamenti su Airbnb. Pensava che il divieto fosse ridicolo e difficile da far rispettare. E poi, se mai l’avessero beccato, una multa sarebbe stato un piccolo prezzo da pagare per delle case che gli rendevano circa 60mila dollari all’anno.

Ma Santa Monica ha deciso di andarci giù pesante. Dopo che Shatford ha ignorato diversi avvisi, la città lo ha denunciato.

A luglio Shatford è diventato uno dei primi proprietari degli Stati Uniti a essere condannato per aver messo in affitto illegalmente delle case su Airbnb. Ha patteggiato e ha accettato di non affittare più i suoi appartamenti, di pagare una multa di circa 3.500 dollari e di essere in libertà vigilata per due anni. Quello stesso mese ha chiuso la sua attività e si è trasferito a Denver, in Colorado. “Mi aspettavo una multa”, racconta, “ma non pensavo che mi avrebbero trattato come un criminale. Stavo solo cercando di guadagnarmi da vivere”. Il 2 settembre Airbnb si è rivolta a un tribunale federale per fare causa alla città californiana in seguito all’ordinanza.

Quello che è successo a Santa Monica non è un incidente isolato. Gli affitti su Air­bnb sono tenuti d’occhio anche a Los Angeles, Miami Beach e Portland, e fuori dagli Stati Uniti a Toronto, Barcellona e Berlino. A San Francisco un giudice federale ha convalidato l’8 novembre delle leggi che potrebbero imporre delle pesanti multe al sito, mentre Andrew Cuomo, il governatore dello stato di New York, ha approvato alcune importanti limitazioni agli affitti a breve termine. Airbnb non l’ha presa bene: oltre a Santa Monica, ha fatto causa ad altre tre città statunitensi quest’anno.
E i problemi arrivano proprio nel momento in cui Airbnb cerca di trasformarsi in un’azienda di viaggi completa ed è pronta per quotarsi in borsa.

Buoni e cattivi
Airbnb ha cominciato la sua attività nel 2007 a San Francisco, con tre ragazzi che cercavano di raggranellare i soldi dell’affitto con un paio di materassi ad aria e un loft vuoto. Come ogni storia che si rispetti, Air­bnb è finita con il diventare il simbolo della sua attività: far guadagnare alle persone un po’ di denaro extra e fornire un’alternativa ai turisti in cerca di un alloggio.

All’epoca era un’idea forte, visto che milioni di persone stavano perdendo lavoro, casa e risparmi a causa della recessione. Air­bnb e un’altra giovane startup, Uber, promettevano di ripensare il sogno americano nel momento in cui il paese ne aveva più bisogno. Per quasi un decennio l’azienda si è scrupolosamente attenuta alla sua missione, trasformandosi nel frattempo da una scalcinata startup a una delle aziende tecnologiche che valgono di più.

Sulla carta Airbnb vale trenta miliardi di dollari, quanto Marriott International, la principale catena alberghiera al mondo. Ma continua a presentarsi come un’azienda paladina della classe media. I suoi dirigenti sostengono di aiutare le famiglie a pagare le bollette e a rimanere nelle loro case. Airbnb si presenta come la buona della situazione, mentre i cattivi sono quelli che intralciano la strada dell’innovazione, in particolare la lobby alberghiera. Ma l’ultimo anno ha dimostrato che questa narrazione in realtà mostra qualche crepa.

A Santa Monica e altrove, il boo­m degli affitti occasionali comincia finalmente a essere notato, non solo dai suoi sostenitori, ma da chiunque si occupi dei problemi legati all’alloggio. I legislatori si chiedono se Airbnb porti dei vantaggi ai residenti o solo ai turisti di passaggio. Gli inquilini degli appartamenti sono preoccupati che l’arrivo dei turisti diminuisca la loro sicurezza e peggiori la qualità della vita. In luoghi dove gli affitti sono già alti e le sistemazioni a buon mercato scarseggiano, i difensori del diritto alla casa temono che il sito spinga i proprietari più avidi a trasformare le loro abitazioni in alberghi improvvisati.

Una volta registrato il suo appartamento su Airbnb, Shatford ha viaggiato per sei mesi nel sudest asiatico

Dopo anni in cui ha detto di stare dalla parte dei buoni, oggi Airbnb si trova a doversi difendere in alcuni dei suoi mercati principali, e questa pressione non le giova. L’azienda ha intentato cause legali, organizzato manifestazioni e speso milioni in campagne per influenzare l’opinione pubblica. Ha denunciato avversari politici e sventolato ricerche che mettono in cattiva luce gli alberghi. Questi contrasti fanno emergere una cruda verità: messa sotto pressione, Airbnb reagisce come tutte le grandi aziende.

Le cose erano più semplici quando Shatford ha cominciato a ospitare persone nell’ottobre del 2012. All’epoca Air­bnb si presentava come un’alternativa più economica e piacevole agli alberghi e Shat­ford era il prototipo del proprietario: un tizio che aveva bisogno di soldi dopo aver perso il lavoro. Una volta registrato il suo appartamento su Airbnb, Shatford ha prenotato un biglietto di sola andata per la Thailandia e, anche grazie ai ricavi dell’affitto, ha viaggiato per sei mesi nel sudest asiatico.

Residenti preoccupati
Tornato negli Stati Uniti, Shatford si è reso conto che con un po’ di sforzo avrebbe potuto guadagnare bene con Airbnb. “L’intuizione mi ha colpito come uno schiaffo e mi ci sono buttato a capofitto”, racconta. Ha migliorato la sua presentazione su Airbnb, cambiando le foto e facendo esperimenti sui prezzi. “Ho capito che avrei potuto guadagnare quattromila dollari al mese con quell’appartamento”.

L’estate dopo Shatford ha cominciato a espandersi. “In due mesi riuscivo a rientrare nelle spese di un appartamento, e così avevo abbastanza soldi per metterne un altro sul mercato”, spiega. A metà del 2014 gestiva sette appartamenti su Airbnb. Inoltre aveva creato un sito web chiamato Air­dna, che prendeva e analizzava i dati degli annunci pubblicati su Airbnb.

Shatford era solo uno dei tanti proprietari che affittavano casa attraverso l’azienda di San Francisco, per questo è stato colto di sorpresa quando, all’inizio del 2015, il responsabile capo del marketing di Airbnb, Jonathan Mildenhall, ha prenotato un soggiorno in uno dei suoi appartamenti.Shat­ford temeva che il dirigente avrebbe avuto da ridire sul numero di case in affitto che gestiva o sulla sua attività di ricerca dati. Ma quando Mildenhall è arrivato, i due si sono intesi a meraviglia. “Abbiamo chiacchierato per un’ora”, dice Shatford. “Mi ha detto che con meno di cinque appartamenti non avrebbero preso alcun provvedimento. Erano più preoccupati di chi gestiva decine di case e su questo, prima o poi, avrebbero potuto dare un giro di vite”. Un portavoce di Airbnb ha dichiarato che Mildenhall non ricorda questa conversazione.

Anche la città di Santa Monica cominciava a rendersi conto della situazione. Nell’aprile del 2015 i funzionari hanno scoperto che gli affitti a breve termine si erano moltiplicati. In particolare erano preoccupati dall’affitto di intere case per meno di trenta giorni. I legislatori hanno deciso di vietare questa possibilità, perché rischiava di sottrarre appartamenti per i residenti. Ma lasciarono la possibilità di affittare le camere a chi era in possesso di una licenza da parte del comune.

Mentre Santa Monica si sforzava per ridurre gli affitti a breve termine, anche altre città cominciavano a interrogarsi sulla crescita del fenomeno. Nel marzo del 2015 un’associazione di Los Angeles ha denunciato il fatto che Airbnb crea una guerra tra turisti e inquilini, perché i “proprietari guadagnano molto di più affittando i loro appartamenti per brevi periodi su Airbnb”. Gli inquilini, nel frattempo, si lamentavano del fatto che gli ospiti di Airbnb creavano confusione, dimenticandosi di chiudere a chiave le porte o lasciando la spazzatura nei posti sbagliati. “Non abbiamo deciso di prendere casa in un albergo”, racconta Michael Castaldo, che vive nello stesso appartamento a New York da oltre vent’anni.


Airbnb guadagna su ogni prenotazione: prende il tre per cento dal padrone di casa, e una commissione tra il sei e il dodici per cento dall’ospite. Più prenotazioni significa più guadagni e i proprietari che gestiscono più appartamenti possono accumulare un sacco di prenotazioni. “Seguono le stesse regole delle grandi aziende ma fanno finta di essere un gruppo di bravi ragazzi che hanno avuto un’idea per fare un po’ di soldi dopo aver finito l’università”, racconta Liz Krueger, senatrice dello stato di New York. Alla fine del 2015 era evidente che, se non cambierà atteggiamento, Airbnb rischia d’inimicarsi per sempre i governi di alcuni dei suoi mercati principali.

A novembre dell’anno scorso, dopo aver vinto un referendum a San Francisco, molto combattuto, che voleva limitare il diritto di affittare a breve termine, l’azienda ha lanciato il Community compact: una dichiarazione di quattro pagine dove s’impegnava alla trasparenza, alla collaborazione con le città e a costruire un’azienda “di persone, fatta da persone, per le persone”. Prometteva che si sarebbe occupata seriamente di chi gestiva molte case e che avrebbe cancellato dalla piattaforma i trasgressori peggiori.

Le case e le persone
In giro per il mondo molte città si stavano già occupando di questi trasgressori. Nell’aprile del 2016 l’amministrazione di San Francisco si è resa conto che un quarto dei proprietari di appartamenti affittati a breve termine stava infrangendo le regole; a maggio Berlino ha introdotto delle limitazioni agli affitti di appartamenti interi, prevedendo multe fino a centomila euro; a Miami Beach un provvedimento del comune contro gli affitti a breve termine ha prodotto multe per 1,6 milioni di dollari in appena cinque mesi; a giugno i legislatori dello stato di New York hanno votato a favore di un inasprimento delle regole che Air­bnb si era rifiutata di seguire, vietando perfino di pubblicizzare l’affitto di un intero appartamento per meno di trenta giorni.

Negli Stati Uniti l’attenzione ha raggiunto il massimo a luglio, quando Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts, e altri due senatori degli Stati Uniti hanno scritto una lettera in cui invitavano la commissione federale per il commercio a “studiare e quantificare” l’attività commerciale presente sulle piattaforme per l’affitto occasionale. “Da un lato queste aziende hanno promosso l’innovazione, aumentato la concorrenza e hanno fornito nuovi mezzi con i quali i nostri elettori possono ottenere guadagni supplementari”, hanno scritto. “Dall’altro, siamo preoccupati che gli affitti a breve termine inaspriscano le carenze di alloggi e aumentino i costi abitativi nelle nostre comunità”.

Airbnb la pensa diversamente. Secondo alcuni studi commissionati dall’azienda, gli annunci presenti sul suo sito riguardano un numero di case troppo basso per influenzare il mercato degli affitti. L’azienda ha elogiato le regole “sensate” sugli affitti approvate in alcune città (Filadelfia, Chicago, New Orleans) e ne ha denunciate altre (San Francisco, Anaheim, Santa Monica, New York). Poi, all’improvviso, ha ceduto.

Il 1 novembre ha introdotto a New York e a San Francisco l’opzione one host, one home (un proprietario, una casa), che impedisce ai proprietari di mettere annunci per più di un appartamento. E all’inizio di dicembre ha accettato, in un accordo con Londra e Amsterdam, di controllare che i proprietari siano in regola con le norme locali sulle licenze e di limitare il numero di giorni all’anno per cui si può mettere in affitto un appartamento. Il 2 dicembre, inoltre, Airbnb ha trovato un accordo con New York, accettando di ritirare la sua denuncia in cambio della promessa, da parte della città, di multare per le violazioni solo i proprietari delle case e non l’azienda. La deputata Linda Rosenthal lo ha definito un “incredibile voltafaccia”, mentre Airbnb ha parlato di “un concreto passo avanti per i proprietari”.

Risolvere le controversie sull’affitto temporaneo di appartamenti interi è fondamentale per Airbnb. A ottobre, questi affitti rappresentavano il 66 per cento del giro d’affari dell’azienda negli Stati Uniti, secondo i dati di Airdna, l’azienda d’analisi di Shat­ford. L’affitto di stanze private, che generalmente è tollerato dalle autorità, rappresentava il 32 per cento del giro d’affari, mentre l’affitto di un posto letto in una stanza era appena il due per cento.

L’azienda si fa ancora forte del suo impegno a migliorare la vita delle persone comuni, ma quest’idea sembra sempre più lontana

A novembre, a Los Angeles, Airbnb ha organizzato il suo terzo Airbnb open, un evento che celebra “lo spirito della comunità”. Hanno fatto un’apparizione l’attore Ashton Kutcher, che ha confessato di aver vissuto in appartamenti trovati su Airbnb dopo aver divorziato da Demi Moore, e l’attrice Gwyneth Paltrow, e si sono esibiti artisti come Lady Gaga e i Maroon 5. Nel corso dell’evento l’amministratore delegato dell’azienda, Brian Chesky, ha presentato Trips, un modo per aiutare i viaggiatori a organizzarsi durante il loro soggiorno, che si tratti di caccia al tartufo o di maneggiare spade da samurai. Trips è uno dei passi che Airbnb sta facendo per diventare un’agenzia di viaggi globale.

L’azienda si sta espandendo in Cina e in India, sta corteggiando i viaggiatori d’affari, e sta facendo da intermediaria tra padroni di casa e inquilini. Tutto questo deve preparare la strada a un altro passaggio fondamentale perché Airbnb riesca a convincere gli investitori che vale i trenta miliardi di dollari di valutazione raggiunti quest’estate.

In attesa di un’occasione
Airbnb sta andando oltre la sua promessa originaria, di essere cioè una piattaforma per la classe media. Sta diventando sempre più professionale, sempre più simile a quelle catene alberghiere che vorrebbe combattere. Da un certo punto di vista è logico: ha annunci per 2,5 milioni di proprietà in 191 paesi, con un milione di ospiti che ci trascorrono la notte ogni giorno.

L’azienda si fa ancora forte del suo impegno a migliorare la vita delle persone comuni, ma quest’idea sembra sempre più lontana man mano che si moltiplicano gli imperativi aziendali. È probabile che la prospettiva di un’offerta pubblica iniziale abbia accelerato questa trasformazione, e che sia alla base delle concessioni che Airbnb ha fatto di recente. Ma questi accordi non sono necessari solo per la borsa: il fatto che le attività dell’azienda si svolgano in una zona legale “grigia”, la minaccia di multe o di conseguenze penali potrebbero ridurre l’interesse dei proprietari nei confronti dell’azienda.

Ma non per Scott Shatford. Anche se non ha ancora ricominciato ad affittare case da quando abita a Denver, scegliendo di concentrarsi su Airdna, Shatford continua a tenere d’occhio il mercato immobiliare, in attesa di un’occasione su cui buttarsi. Il fatto che la marijuana in Colorado si può vendere legalmente ha reso Denver una destinazione apprezzata, e gli affitti per brevi periodi sono autorizzati dalle leggi locali. “Quando parte la carica mi piace essere in prima linea”, spiega Shaftord, aggiungendo di non provare alcun risentimento verso Airbnb per quel che è successo a Santa Monica. “Di sicuro non sarà la fine della mia carriera da affittacamere”.

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